Caterina Castrofilippo, nata Misilmeri, leggeva e rileggeva. Le persiane erano chiuse. Un odore stantio di muffa usciva dal frigo.
Dall'altra parte della città c'era Federico, l'uomo bionico, che si trastullava con l'ingegneria.
Da un altro lato c'era Silvano, lo scrittore, che si trastullava con le sacre lettere.
Dall'altra parte c'era Angela, la psicologa, che si trastullava con la psicologia. Dall'altra Dora, che si godeva la pensione.
Un uomo, sui trentatré anni si aggirava per la casa di Caterina con fare scuro.
Casa di Caterina era immensa, tetti altissimi, terrazze, balconi, fioriere, salotti che si rincorrevano l'uno con l'altro, era quanto di più desiderabile si possa volere da una casa.
Caterina leggeva Proust, un po' la annojava a dire il vero, ma era una lettura, la sua, intima, pervicace, come se si fosse trovata dalla psicanalista.
Il nome dell'uomo che si aggirava per la casa di Caterina era Gianfranco. Un uomo alto, biondo, con la testa scavata.
-dai andiamo a fare una nuotata, disse lui.
E Caterina, no, dai, voglio ascoltare Deegay, e poi siamo a Maggio, con questo tempo non voglio uscire.
I due si conoscevano da tre anni. SI erano conosciuti alla taverna azzurra un piovoso sabato di Ottobre.
-Voglio andare all'addaura
-e no, dai, Gianfranco, voglio stare a casa.
Eravamo a Maggio e un cielo nebbioso avvolgeva Palermo. Una cosa un tantino pesante.
Gianfranco poi uscì da solo e Caterina si ritrovò tutta sola, col cane, coi suoi computers e la puzza di muffa che usciva dal frigo. Telefonò a Leonetta, una gonzaghina niente male, che erano amiche sin dai tempi del liceo, niente. Occupato. Guarnita al punto giusto - era vestita con una liseuse lilla e dei jeans - vagava per la casa pensando a cosa fosse la solitudine.
Non le veniva in mente nessun pensiero chiaro. Pensava che alla compagnia dobbiamo alternare la solitudine, che questo è il decorso delle cose. In una parola, amava Gianfranco.
(continua)
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