sabato 11 settembre 2010

Petrarca, concorso a cattedre 2000

Di pensier in pensier, di monte in monte
mi guida Amor; ch’ogni segnato calle
provo contrario a la tranquilla vita.
Se ‘n solitaria piaggia, rivo, o fonte,
se ‘n fra duo poggi siede ombrosa valle,
ivi s’acqueta l’alma sbigottita;
e come Amor l’envita,
or ride, or piange, or teme, or s’assecura:
e ‘l volto che lei segue ov’ella il mena
si turba e rasserena,
et in un esser picciol tempo dura;
onde a la vista uom di tal vita esperto
diria: — Questo arde, e di suo stato è incerto, —
Per alti monti e per selve aspre trovo
qualche riposo; ogni abitato loco
è nemico mortal de gli occhi miei.
A ciascun passo nasce un penser novo
de la mia donna, che sovente in gioco
gira ‘l tormento ch’i’ porto per lei;
et a pena vorrei
cangiar questo mio viver dolce amaro,
ch’i’ dico: — Forse ancor ti serva Amore
ad un tempo migliore;
forse, a te stesso vile, altrui se’ caro. —
Et in questa trapasso sospirando:
or porrebbe esser vero? or come? or quando?
Ove porge ombra un pino alto od un colle
talor m’arresto, e pur nel primo sasso
disegno co la mente il suo bel viso.
Poi ch’a me torno, trovo il petto molle
de la pietate; et alor dico: — Ahi, lasso,
dove se’ giunto! et onde se’ diviso! —
Ma mentre tener fiso
posso al primo pensier la mente vaga,
e mirar lei, et obliar me stesso,
sento Amor sì da presso
che del suo proprio error l’alma s’appaga:
in tante parti e sì bella la veggio,
che se l’error durasse, altro non cheggio.
I’ l’ho più volte (or chi fia che m’il creda?)
ne l’acqua chiara, e sopra l’erba verde
veduto viva, e nel troncon d’un faggio,
e ‘n bianca nube sì fatta che Leda
avria ben detto che sua figlia perde,
come stella che ‘l sol copre col raggio;
e quanto in più selvaggio
loco mi trovo e ‘n più deserto lido,
tanto più bella il mio pensier l’adombra.
Poi quando il vero sgombra
quel dolce error, pur lì medesmo assido
me freddo, pietra morta, in pietra viva,
in guisa d’uom che pensi e pianga e scriva.
Ove d’altra montagna ombra non tócchi
verso ‘l maggiore e ‘l più espedito giogo
tirar mi suol un desiderio intenso.
Indi i miei danni a misurar co gli occhi
comincio, e ‘n tanto lagrimando sfogo
di dolorosa nebbia il cor condenso,
alor ch’i’ miro e penso,
quanta aria dal bel viso mi diparte,
che sempre m’è sì presso e sì lontano;
poscia fra me pian piano:
— Che sai tu, lasso? Forse in quella parte
or di tua lontananza si sospira —;
et in questo penser l’alma respira.
Canzone, oltra quell’alpe,
là dove il ciel è più sereno e lieto,
mi rivedrai sovr’un ruscel corrente,
ove l’aura si sente
d’un fresco et odorifero laureto:
ivi è ‘l mio cor, e quella che ‘l m’invola;
qui veder pòi l’imagine mia sola.

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